Realtà virtuale e malattie neurologiche: il futuro è già qui!

Realtà virtuale e malattie neurologiche: il futuro è già qui!

Le recenti tecnologie hanno permesso lo sviluppo di dispositivi per la realtà virtuale a costi estremamente contenuti e dalle prestazioni convincenti. Negli ultimi anni, prodotti come l’Oculus Quest hanno permesso una diffusione capillare delle tecnologie di realtà virtuale (VR e AR, complessivamente indicate come tecnologie di eXtended Reality, o XR) grazie all’elevato numero di unità vendute a poche centinaia di euro l’una. La conseguenza naturale di questa ampia base di utenti è quella di un parco applicazioni estremamente vario e in continuo aggiornamento. Pur non potendo competere con un PC (o con un dispositivo ad esso collegato), questi apparecchi restituiscono una resa grafica sufficientemente gradevole e dettagliata da restituire una sensazione di realtà e presenza difficilmente descrivibile a parole.

Oltre agli aspetti ludici, vero e proprio carro trainante del mercato VR, queste apparecchiature possono però essere utilizzate anche per applicazioni serie o semi-serie (serious games), ovvero per svolgere piccoli esercizi capaci di rinforzare gli aspetti fisici, motori o cognitivi dell’utilizzatore. In epoca pre-VR, ad esempio, in molti si ricorderanno dello Wii-Fit, piccolo accessorio casalingo capace di far sudare, letteralmente, i suoi utilizzatori. In sostanza è possibile utilizzare le tecnologie VR come delle vere e proprie forme di terapie non farmacologiche.

I vantaggi di un mondo virtuale

Viene da chiedersi, tuttavia, per quale motivo una realtà “simulata” dovrebbe essere migliore della nostra: non potremmo, ad esempio, muoverci, spostarci e compiere attività nel mondo reale? Certo: nessuno ce lo vieta. In fondo anche chi utilizza il Wii-Fit è libero di andare a correre all’aperto, o a giocare a tennis.
Il vero vantaggio, poco appariscente in prima battuta, è dato dal fatto che il programmatore e gli operatori hanno il pieno controllo dell’ambiente virtuale: possono crearlo come vogliono, e l’unico limite è dettato dalla fantasia. Come se non bastasse, gli operatori possono controllare qualunque variabile ambientale (dalla posizione di un oggetto, alle luci, alla gravità), modificando la scenografia in funzione del comportamento del soggetto. Il dispositivo è inoltre in grado di fornire un feedback real-time dei propri sensori (posizione, velocità e accelerazioni delle mani e del capo), con dati preziosi per chi vuole monitorare le attività motorie.

Ma controllare le variabili significa anche avere la possibilità di creare un ambiente “ecologico” e naturale, compatibile con ciò che è richiesto (o si vuol far ottenere) al Paziente. Se voglio ottenere una sensazione di rilassamento, ad esempio, immergerò l’utente in uno scenario tranquillo e naturale; se invece devo richiedere dei task ad elevata concentrazione, posso eliminare tutti gli elementi di distrazione.

Le tecnologie XR al servizio delle malattie neurologiche

Non bisogna dimenticare, infine, che l’impiego delle tecnologie XR in neurologia rende ogni attività più divertente e piacevole: questo significa che le sedute terapeutiche possono essere rese meno noiose e più accattivanti, garantendo una maggior aderenza al piano.

La demenza rappresenta indubbiamente una delle patologie che potrebbe trarre maggior beneficio dall’impiego di tecnologie XR. Sempre più persone, nelle fasi tardive (ma non solo!) della vita, vanno incontro ad un progressivo deterioramento cognitivo su base degenerativa. Il numero di Pazienti affetti da questo disturbo è in continua crescita, anche a causa del progressivo incremento della vita media. Per la sua gravità e irreversibilità, la demenza su base degenerativa determina pressoché invariabilmente condizioni di dipendenza e incapacità nello svolgere le comuni attività quotidiane; ne conseguono pesanti implicazioni a livello familiare, sociale e lavorativa.L Si stima che, solo in europa, vi siano almeno dieci milioni di persone affette da demenza; il numero raggiungerà verosimilmente i trenta milioni attorno al 2030.

XR come terapia non farmacologica

La necessità di appoggiarsi anche a terapie non farmacologiche, in queste situazioni, è data anche dal fatto che non esiste, ad oggi, una vera e propria terapia farmacologica capace di arginare efficacemente le manifestazioni cliniche. Assai frequentemente, nelle fasi medio-avanzate della malattia gli interventi farmacologici sono mirati prevalentemente al contenimento di sintomi comportamentali, come l’agitazione, il delirio, le allucinazioni, l’insonnia. Tra le opzioni non farmacologiche vale la pena di ricordare l’attività fisica e il training cognitivo, capaci in parte di contenere anche gli aspetti comportamentali.

Realtà virtuale e demenza: l’importanza di una diagnosi precoce. Altrettanto importante è la diagnosi precoce: gli interventi sono tanto più efficaci quanto prima vengono attuati.

Una applicazione molto interessante in VR, destinata proprio al contenimento dei sintomi comportamentali, è la cosiddetta Terapia del Viaggio Virtuale, ispirata alla Terapia del Viaggio messa a punto dal dott. Cilesi. Si tratta di un “viaggio” simulato, effettuabile anche in camera propria, che permette di allontanarsi momentaneamente da una situazione spiacevole (confinamenti, ambienti conflittuali ecc) o, al contrario, di effettuare un viaggio di ritorno a casa.